Perché camminare mi fa molto, ma di molto, bene

Si fa presto a dire “camminare”. Imperativo categorico: “Camminate tutti, ché vi fa bene”. Non è con l’approccio fideistico che uno si convince, servono gli esempi pratici. Orbene, da quando sono più vicina ai 50 anni che ai 40 il mio metabolismo non corre più veloce come una volta e quella santa della mia nutrizionista, assodato da tempo che la dieta non è cosa mia, mi ha consigliato di fare (almeno) 8 mila passi al giorno, altrimenti mi allargo, mi aumenta il grasso viscerale, perdo tono muscolare e il cioccolatino che mangio a letto aspettando che inizi la prima serata in tv mi uccide. Però, sul significato di “camminare” dobbiamo intenderci bene…

Camminare ha un’etimologia meravigliosa

Diciamoci la verità, io quelli che fanno la “passeggiata veloce” con il K-Way per sudare di più o si allenano per vincere la maratona di New York o almeno quella di Radio Deejay un po’ li aborro. Io qui vorrei virare sul concetto di Wanderung, quel cammino teutonico, preferibilmente tra i boschi delle fiabe, nelle foreste minacciose. Il Wandern tedesco, quel camminare che è un po’ anche escursione dell’animo mi interessa di più. Certo, a Milano più che il bosco verticale non si ha. Bene che vada, su consiglio dei miei amici musicisti Coma_Cose una si inoltra là dove Milano Sud finisce,  si imbosca al Parco Ticinello e si rompe le balle tra le balle di fieno con il grugno e il mugugno dell’agricoltore. Ma, si sa, è lo spirito quello che conta, ricordiamolo.

 

Camminare, questo sì che è interessante, viene dall’ipotetico latino tardo parlato “camminus”, rubato ai Celti (lo vedi che loro, a Nord…). Gli antichi romani al massimo (de)ambulavano oppure incedevano solenni. Io invece ho aspirazioni più provenzali, mi garba il “camis”, con una emme. Un po’ come in siciliano, dove pure si “camina” con una emme sola. C’è un bellissimo proverbio nostro siculo che così recita:

Cu camina licca, cu sedi sicca

Tradotto: chi cammina lecca (guadagna qualcosa) chi sta a sedere insecchisce (si consuma, di inedia ma talora anche di invidia aggiungo io). Insomma, per non rinsecchire, avvizzire e in definitiva morire di ansia, noia e sedentarietà, da febbraio sti cavolo di almeno 8 mila passi li faccio ogni giorno.

E voi vi chiederete: “Ma dove vai?”. E soprattutto: “Quando cammini?”. Anche se non ve lo stavate chiedendo, ve lo racconto lo stesso. Del resto, un post alla settimana in questo blog ho promesso di farlo, quindi mi tocca.

Percorso tipico per fare (almeno) 8 mila passi a Milano Est (est, est)

C’è di buono che con il Covid l’unica cosa rimasta da fare è, appunto, camminare. Quindi da casa mia al supermercato e ritorno 1.500 passi, esclusi quelli per trovare il sale tra gli scaffali, ci sono già. Poi posso scegliere in quale tundra metropolitana addentrarmi: Forlanini o Largo Marinai d’Italia? In genere preferisco il secondo, perché c’è la Palazzina Liberty frequentata da facoltose signore e signorine che noleggiano un personal trainer (bono) per fare addominali e dorsali e rinfrancare l’ormone, quindi fa già ridere così. Da viale Corsica, ove è ubicato il mio rumoroso trilocale con vista su parrocchia, al parchetto di cui sopra (avanti e ‘ndré) sono conteggiati con l’iPhone, circa 5.500 passi.

In questo breve tragitto, che percorro in circa 50 minuti tra le 8 e le 10 del mattino (perché poi inizio a “smartworkare” e non ce n’è per nessuno), faccio incontri sorprendenti, sempre gli stessi, ogni mattina. Incontri che mi riempiono di felicità:

  • Il musicista di strada. Non so come si chiama, ma mi piace pensare che abbia un nome imperiale. Augusto, Massimiliano, Alexander. Si piazza all’angolo di via Battistotti Sassi, quello dove c’è la banca Popolare. Ha una chitarra, un amplificatore mezzo scassato e chiaramente non sa suonare. Quando mi intravede al semaforo, siccome sa che gli do sempre un eurino, attacca “Ninininìììììì, ninì-ninì-ninininììììì”, ovvero la colonna sonora di “Love story” (googlate: Francis Lai, Theme from Love Story, finale). Io mi sento compresa, nelle mie sfighe, nei miei amori precedenti, nei turbamenti che incontrerò per le mie vie, dalle paure delle ipocondrie, dai fallimenti che per mia natura normalmente attirerò. Per questo lo premio infilando una moneta pesante sul suo cestino di vimini. Un giorno, quando trovo il coraggio, gli chiederò chi era nella sua vita precedente.
  • Il panettiere logorroico. Lo adoro. Ragazzo simpatico, educato. Di quelli che ti chiamano “Signora” e aggiungono: “Oggi la vedo stanca”, perché tu ti sei dimenticata di applicare il mascara per capelli Schwarzkopf castano scuro sulla ricrescita, avete presente? Cammina che ti cammina, a furia di comprare da lui otto bocconcini al giorno, siamo diventati molto intimi. Mi ha confessato che ha un debole per Mara Maionchi, che la sua fidanzata con cui sta cercando casa ha avuto l’ovaio retroverso e che quando deve svegliarsi alle 4.30 il suo primo pensiero è “Fanculo!”, ma continuiamo a darci rigorosamente del Lei. Mi fa lo sconto di 5 centesimi su 10 euro per 100 grammi di pane con l’uvetta. Top!
  • La cartolaia buona. Davvero ancora non conoscete Cristina di Carta e dintorni in Corso XXII marzo? Male, malissimo. Io quando sono depressa, giunta a 2.900 passi in quelle giornate uggiose di pouring rain radiottiva che solo Milano sa offrirci, entro da lei. Coi protocolli Covid si entra uno per volta in cartoleria, per procacciarsi beni essenziali. E io lì dentro mi procaccio umanità. C’è chi va da Tiger per procurarsi inutili gadget, io vado da lei e so che un quadernone ad anelli mi farà fare i salti di gioia. Ma anche bustine per letterine e bigliettini amorosi, evidenziatori di tutte le fogge e colori, matite che non puoi non avere per scrivere pensieri inenarrabili. Ancora stiamo alla civiltà della carta? Sì, sì, sì! Poi con Cristina parliamo anche di quanto è difficile essere mogli, madri, artiste e acrobate. L’altro giorno l’ho pure chiamata al telefono per sapere se vendesse le palline antistress. Non ce le aveva, ma comunque mi è passato lo stress solo a sentire la sua voce.

Camminare, insomma, per me è fonte di benessere. Però bisogna avere delle orribili scarpe comode. Io uso quelli che Cielomiomarito chiama i “papussòni”, ovvero calzature da running marchio Brooks color purple-polpo-dei-fumetti di un violento ultra-violetto, mordicchiate dalla mia gatta Gilly.

Scarpe da running Brooks mordicchiate da Gilly
Scarpe da running Brooks mordicchiate da Gilly

Non so se a questo punto vi ho convinto a smuovere il c*** a spasso.  O magari siete già avvezzi? Scrivetemi nei commenti i vostri “percorZi”, come dicono nei talent show. Per approfondire, potreste pure leggere due libri Einaudi intitolati “Camminare”: uno dell’esploratore Erling Kagge e l’altro del neuroscienziato Shane O’Mara. Utili, per carità, interessanti. Ma io, che sono antica e preferisco consultare i morti, vi consiglio il buon vecchio Henry David Thoreau (1817-1862). Il suo “Camminare”, lo trovate edito da Mondadori tra i classici, ovvio, ma anche in una bella edizione Lindau con un testo di Virginia Woolf, oppure pubblicato da PianoB con altri passi scelti dell’autore, in un’edizione SE con una raffinatissima copertina floreale e in una di Marietti, credo sia la più recente, del 2019. In ogni caso, prima leggetevelo e poi andatevi a fare una passeggiatina.

Comments

Marta
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Ti appoggio! Io cammino sempre! Ai tempi della Dad dalle 7 alle 8.30, ora un po’ meno ma ci si aggiusta come si può.

Giusy
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Stefano
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Io devo farmi i miei “minimo 5mila” per questioni di cuore. Tra poco arriva l’estate e li porto a “minimo 7mila” così il cardiologo è contento e io anche, perché d’estate cammino al mare.

Giusy
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Sarebbe bellissimo passeggiare insieme alle saline

Cristina Atzori
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Ciao Giusy! Io da un anno vado ogni mattina presto. Con la mia amica Francesca facciamo il giro dell’idroscalo oppure del bosco del Carengione. Alla fine un bel caffè e due chiacchiere. Fa bene al corpo e allo spirito e ho anche rinsaldato un’amicizia!

Giusy
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Ma che bello! Un’esperienza stupenda camminare con le amiche, sono molto felice.

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